#SICILIA ON THE ROAD: TRASANDATA MA BEDDA

Per le mie ormai consuete ferie di metà settembre [ ok, sto parafrasando La Municipàl ], quest’anno ho scelto la Sicilia, perché avevo una pazza voglia di ritornare in questa regione meravigliosa, perché avevo desiderio di mangiare succulenti arancini al ragù e cannoli strabordanti di ricotta fatti come tradizione comanda e perché le vacanze, per forza di causa maggiore, non potevano che essere italiane.

Una settimana, una macchina, un traghetto a/r, una reflex, un solo obiettivo [il 35 mm], quattro hotel/b&b diversi in posti diversi, una serie di città vicine e lontane tra loro, una sfilza di luoghi iconici, e non, da vedere o da rivedere e, non da meno, una lunga lista di cose da assaggiare smaltite egregiamente dai tanti kilometri al giorno percorsi non solo in macchina ma anche e soprattutto a piedi [ perché le mie vacanze, si sa, non sono mai riposanti, anzi ].

E così eccoci andare da Messina a Taormina, quel gioiellino siculo che ammicca con i suoi vicoli eleganti, con piazza Duomo, con l’Antico Teatro e Isola Bella; fare tappa ad Acireale a mangiare la superba granita con brioche del bar Condorelli, passare per Acicastello, fissare l’Etna, arrivare a Catania per cenare con le delizie del bar Savia, il chiasso mondano di via di Santa Filomena, vedere piazza Duomo con la famosa fontana con l’elefante, il Teatro Romano, “a Piscaria” ossia il mercato del pesce più verace di tutta la Sicilia. Spostarsi a Siracusa tra lo splendore dell’isola di Ortigia, con il Duomo, il Tempio di Atena e il Castello Maniace; fare un’escursione nella riserva di Vendicari per ammirare i ruderi di un’antica e autentica Tonnara e sostare nella spiaggia di Calamosche; andare inevitabilmente a vedere la [ingiustamente] blasonata Marzamemi. Esplorare la val di Noto con la plasticità del barocco siciliano e le meravigliose architetture di Noto, di Ragusa, di Modica, e della piccola e strepitosa Scicli; mangiare la cioccolata dell’Antica Dolceria Bonajuto e le scacce ragusane. Ritornare tra le romantiche meraviglie de la Valle dei Templi ad Agrigento, cenare vista area archeologica, percorrere i vicoli un po’trasandati di Agrigento; vedere da lontano la Scala dei Turchi perché è ora inagibile; visitare finalmente come l’arte a cielo aperto e chiuso del Farm Cultural Park ha rivitalizzato il decadente centro storico abbandonato di Favara. Raggiungere tramite vie traverse e dissestate il Cretto di Burri e perdersi nel labirinto evocativo di cemento che lo caratterizza; criticare le architetture razionaliste e bizzarre di Gibellina. Giungere finalmente a Palermo, godere nel mangiare l’arancina e il cannolo del bar Oscar, scalpitare davanti la bellezza maestosa della Cattedrale di Palermo e soffrire tremendamente di vertigini passeggiando sui suoi tetti, ammirare la plasticità di Piazza Pretoria, le cupole arancioni della chiesa di San Cataldo, il quartiere Kalsa, la chiesa senza tetto di Santa Maria dello Spasimo, la schiettezza del Mercato di Ballarò e della Vucciria. Passare da Bagheria ed assaggiare lo sfincione; restare inebetiti davanti la bellezza del Duomo di Cefalù; passare sotto la Piramide del 38° parallelo che fa parte della Fiumara d’Arte ed è opera di Mauro Staccioli.

Eccoci intercettare aspre montagne, passare per strade statali trafficate, sognare l’autostrada laddove non c’è; percorrere cavalcavia alla Blade Runner, scorgere borghi brulli e arroccati; ammirare un mare che pare infinito, vederlo irruento; perderci tra vicoli suggestivi ma degradati, stupirci dinnanzi la decadenza della storia, restare estasiati a quasi ogni boccone.

La Sicilia mi ha però suscitato stati d’animo contrastanti, in un’escalation che andava dall’entusiasmo alla compassione. Ci ero stata quasi vent’anni fa e, con l’incoscienza dell’adolescenza, mi era rimasto impresso solo il bello. Oggi, vuoi per i miei occhi da adulta, vuoi per la mia formazione e deformazione professionale, sotto il velo della bellezza ho scrutato problemi. Una facciata maestosa di un palazzo e qualche sacchetto di immondizia buttato dietro l’angolo, la cupola colorata di una cattedrale e un paio di scooter sfreccianti guidati da gente senza casco, un mercato verace e vivace e un frigorifero su di un materasso abbandonati per strada nella traversa accanto, dei balconi barocchi sostenuti da pietre scolpite e scultoree e la porta rotta e vandalizzata dell’edificio adiacente. Una sorta di incivile anarchia condita da un pizzico di maleducazione, di parziale mentalità scorretta dura da scandagliare, di arretratezza a tratti, in mezzo a una coltre di paesaggi affascinanti, di architetture bellissime, di cibi succulenti e strepitosi, di tradizioni ammirevoli e di storia antica che fa sognare.

Perché dico questo? Perché sapete che a me piace raccontarvi i luoghi prima tramite le emozioni che mi hanno suscitato, e poi tramite le solite utili tips di viaggio. Perché a me piace dire sempre le cose come stanno. E perché non bisogna raccontare sempre e solo il lato positivo di un luogo, ma anche quello negativo che, al pari, lo caratterizza. E ve lo dice una che di sud ne sa qualcosa.

Che poi il motivo della mia vacanza in Sicilia è stato ovviamente il cibo, ca va sans dire, e almeno quello non era degradato!

| I siciliani non vorranno mai migliorare per la semplice ragione che credono di essere perfetti; la loro vanità è più forte della loro miseria. |

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