L’autunno fa rima con il ritorno nelle sale cinematografiche di film attesi e di noi pronti a reagire ai primi freschi con il tepore di una buona pellicola, da assaporare sprofondati in una buia e calda poltrona di un cinema qualunque.
Ecco delle brevi e sincere impressioni di tre piacevoli film attesi, acclamati e discussi, visti nell’ultimo mese.
• SICCITÀ
Che ho un debole per i film ambientati a Roma, è più che risaputo. Che non mi fa impazzire Virzí ma che invece adoro Paolo Giordano anche. E così Siccità ha tutte le carte in regola per piacermi abbastanza. Per i motivi suddetti, e perché tratta argomenti scottanti mai così attuali. Perché mostra la Capitale arida come non mai, perché spiattella quel fare simpatico ma un po’ nevrotico dei romani, perché tratta problematiche all’ordine del giorno o quasi, come il degrado, la scarsità delle risorse energetiche rinnovabili e non, la pulizia carente.
Questo film famelico è un amplesso di emozioni che si destreggiano in un complesso di problemi. Distopico, tragico ma anche comico, futuristico e catastrofico, racconta di una Roma che ha sete e che ha sonno senza però sopire mai. Insomma un film che scoppia dentro al cuore all’improvviso.
Che poi, ci voleva un film di Virzì a far sapere al mondo che a Roma ce stanno le blatte?!

• DON’T WORRY DARLING
Un film ovattato ma a tratti spietato, diretto da Olivia Wilde, meglio nota più come attrice che come regista. Avevo pregiudizi sul debutto di Harry Style sugli schermi ma tutto sommato si è rivelato una piacevole sorpresa.
Distopico [si, anche questo] e disilluso, racconta al passato di un futuro possibile. Un futuro in cui l’accettazione di un’ordinaria quotidianità viene bypassata tramite l’esperienza di vita in una comunità utopica, sperimentale e immaginaria.
Il finale del film stupisce, anche se poi lascia il beneficio del dubbio con un ending aperto ed enigmatico. Insomma, un po’ come vedere una puntata di Black Mirror, ma un po’ più lunga.

• IL SIGNORE DELLE FORMICHE
Pacato e introspettivo, narra una storia realmente accaduta nell’Italia retrograda degli anni ‘60. L’omosessualità incriminata in un’Italia datata, un professore accusato di plagio, un adolescente in cerca della sua identità. E un Elio Germano, come sempre, così naturale e così superlativo che spodesta quasi il vero protagonista del film.
Incasellato tra il dialetto e la campagna emiliani, ad un certo punto sbarca sino a Roma mostrando la labilità della di una Capitale piena di pregiudizi in un’epoca apparentemente festosa e sovversiva.
La regia è di Gianni Amelio e le citazioni cinematografiche sono tante, come il riferimento a Chiamami col tuo nome, che è addirittura forse sin troppo esplicito.
