Ci sono serie che non sono andate in vacanza, come noi del resto, in quello strambo anno che è appena volto al termine. È stato un anno imprevedibile, è stato un periodo inafferrabile, è stato un Natale statico, ma non per il nostro device preposto alla visione delle serie TV più in voga del momento. Ne abbiamo viste molte, forse troppe, per ammazzare il tempo che sembrava avanzare lento e per sopperire alla mancanza di socialità.
Ecco quelle degne di menzione, sul finire e sul frinire di questo 2020, che si sono protratte negli arbori del 2021, come tutta quella stramba situazione là del resto:
• LA REGINA DEGLI SCACCHI
L’ho iniziata a vedere giusto per curiosità, perché tutti ne parlavano, e con basse aspettative. E devo dire che mi sono ricreduta per quel suo essere scaltra e avvincente. Una storia dinamica nel suo essere fondamentalmente statica, in sole sei puntate che in molti han visto tutte d’un fiato. Parla di donne determinate e di precarietà mentale, di grinta e di introspezione, di dipendenza e di assuefazione, di solitudine e di maschilismo. Parla più che di vincita di rivincita, di una vita instabile e di un’enfant prodige che si porta dietro lo strascico di un’infanzia difficile. Parla di gioco, quello che a volte può diventare una professione, e di partite, tra le quali la più difficile da vincere è quella della vita. Ben fatta, a parte le visioni oniriche post-prodotte che destabilizzano una fotografia tendenzialmente pulita ed elegante. Che vi terrà attaccati allo schermo lo avrete già capito!
• BRIDGERTON
Una serie statunitense ambientata in una Londra elegante e bizzarra dell’800, dove delle giovani debuttanti di origine nobile sono alla spudorata ricerca di un marito d’alto rango. Gossip, tabù, tanti spitz in serie, una regina di colore che pare sia realmente esistita, abiti d’epoca pomposi, tette straboccanti in corpetti succinti che arrivano sin sotto il collo perché le doti vanno subito messe in mostra, balli in sale tappezzate come il più alto esempio di mondanità, tra corteggiamenti e tentativi di riscatto. La voce fuori campo che racconta i retroscena più intriganti fa un po’ pensare a come sarebbe potuto essere “Gossip Girl” se fosse stato ambientato in quell’epoca: difatti, un’anonima “giornalista” pettegola fa distribuire regolarmente un piccolo giornaletto di gossip che fa scalpore. Spiragli di emancipazione si insinuano in un clima decisamente retrogrado tipico di quell’epoca: la storia è raccontata con un tocco di modernità. Una serie impertinente, da guardare decisamente a cuor leggero, che trasuda sensualità narrando un’attrazione irrefrenabile che sfrigola dato che i protagonisti si desiderano in maniera un tantino eclatante ed eccitante. Morale della favola: l’orgoglio è sempre deleterio anche se tutto è bene quel che finisce bene. Che poi, fatemi capire, vi è piaciuta la serie o vi è piaciuto il duca? Io non faccio testo, perché come sempre sono controcorrente e sono stata una “bimba” del primogenito Bridgerton, il fratello maggiore della protagonista per intenderci.
• THE UMBRELLA ACADEMY
Una serie folle, assurda e fantasiosa, originale e avvincente, con un alto potenziale che si perde in tutta quella assurdità. Tratta dai fumetti di Gerard Way, racconta su Netflix la storia di sette ragazzi prodigio, nati in circostanze misteriose e accomunati da poteri speciali, che vengono adottati da una sorta di magnate, il quale fiuta il loro talento e gli addestra sino a farli divenire dei veri e propri supereroi pronti a salvare il mondo dalle grandi minacce, come l’apocalisse. Il vero apocalisse però sono loro, i frizzanti protagonisti che fanno ridere e ben sperare, rispolverando la fiducia e lottando con l’inganno. Spoiler: per ora ho visto sola la prima stagione e ci ho capito ben poco, ma pare che con la seconda tutto diventa più chiaro, in attesa della tanto attesa terza di stagione.
• EMILY IN PARIS
Una delle serie più leggere degli ultimi tempi, disponibile su Netflix, da guardare quando si ha voglia di sorridere mettendo in stand-by il cervello. Ironica e gradevole, ha sullo sfondo Parigi, e questo già basta a farcela piacere! Se poi ci si mette pure l’esplicitazione di alcuni cliché francesi indiscutibili, poi, ancora meglio! Prevalentemente adatta ad un pubblico femminile, affronta temi importanti in maniera simpatica: il mobbing, l’amore a distanza, le difficoltà nel ritrovarsi completamente da soli in una nuova e grande città, l’attrazione repressa, la risaputa ed egocentrica puzza sotto il naso dei francesi, la mania del postare selfie su Instagram, lo chef figo come emblema della mascolinità che va tanto in voga in questo momento.
• LOVE & ANARCHY
Una serie scaturita dal freddo scandinavo della Svezia ma non per questo fredda, anzi: piacevole e scorrevole, racconta con sottile ironia la quotidianità di svedesi garbati ma poco pudici, accigliati dal lavoro ma con familiarità. Ed è proprio questa quotidianità scontata a perturbare l’animo e gli ormoni della protagonista che, soffocata dallo stile di vita serrato del marito, cerca svago nel gioco con un collega un tantino più giovane. Ed è subito flirt! Attuale e raffinata la scenografia [ ma quanto è figa la cucina e un po’ tutta la casa della protagonista?! ] e anche gli outfit dei protagonisti. Poco amalgamata e un tantino fine a se stessa. Anche se sul finale salta fuori la morale, perché la follia, in fondo, non è altro che normalità. La trovate su Netflix.
• NATALE CON UNO SCONOSCIUTO
Dopo le serie del sud est asiatico quest’anno ci do dentro con quelle del nord Europa. Dopo la serie svedese di cui sopra, ecco scorrere sullo schermo e vedere in un batter d’occhio le due stagioni di questa serie norvegese disponibile su Netflix. Due stagioni, rapide e tangibili, con puntate che scorrono e corrono. La vita di un’infermiera trentenne è al centro della scena, con i suoi piccoli problemi di cuore e le imposizioni sociali con cui tutti i trentenni, anzi preciserei a dire soprattutto le trentenni, hanno a che fare. Leggera ma pragmatica, come quella fascia di popolazione lì del resto, dove l’emancipazione delle donne del nord è un dato di fatto ma è talvolta celato non solo dalla coltre di neve ma anche da quella crosta di pregiudizi tipici di ogni dove. E poi profuma di Natale, sa di vin brulè e trasuda una scia di cannella anche attraverso lo schermo. Davvero piacevole, tanto!
• SNOWPIECER
La storia che fa da scheletro all’intera vicenda è pazzesca ed ha un potenziale assurdo, nel vero senso della parola, dato che scaturisce da un film del regista fresco fresco di Oscar Bong Joon Oh ispirata all’omonimo fumetto degli anni ’80, ma tutta questa sorprendente magia tende un po’ a svanire di puntata in puntata. Una nuova era glaciale, causata ovviamente dal surriscaldamento globale, irrompe sulla Terra del 2027 e l’umanità è pronta a tutto pur di salvarsi, anche a vivere in una delle 1001 carrozze di un treno perennemente in corsa dove la classe di viaggio fa rima con la classe sociale di appartenenza dei suoi viaggiatori. Una sorta di arca di Noè rivisitata in chiave contemporanea, insomma, dove i protagonisti non sono solo gli animali ma soprattutto gli uomini. Futuristica e imprevedibile, utopica e distopica, parla di uno scenario futuro possibile dove i tempi e il tempo, quello meteorologico, cambiano, ma quello che non cambierà mai è la struttura gerarchica di una società che sopravvive, dove la lotta di classe continua ad essere pane quotidiano, anche a temperature di molto al di sotto dello zero. Da vedere su Netflix.
• WHO ARE WHO WE ARE
La pacatezza del racconto per immagini è il tratto distintivo del regista Luca Guadagnino, che dopo il successo dei suoi film tenta di stupire con questa serie. Ambientata in una base militare americana vicino a Chioggia, racconta le emozioni che si celano dietro le pulsioni adolescenziali guidate dalla ricerca di un’identità. I più attenti lettori noteranno che nella sceneggiatura c’è lo zampino di Paolo Giordano, dato che la malinconia ne è parte integrante. Criticata, forse perché le aspettative erano davvero alte, risulta un po’ sottotono. E se parliamo della placidità caratteristica dei film del regista che tanto aggrada in una pellicola di circa due ore, questa tende un po’ ad annoiare se dilazionata nel tempo ben più lungo di una serie. La trovate su Sky.
• FLEABAG
Ok, sono arrivata tardi alla visione di questa serie britannica, e come me pare anche tanti altri durante le appena trascorse vacanze di Natale. La verità, nella sua accezione più realistica possibile e più quotidiana del termine, è alla base delle vicende della giovane donna protagonista che si ritrova a barcamenarsi tra i rapporti umani, da quelli con la famiglia a quelli con effettivi o papabili partner. E sono proprio gli incontri con questi ultimi a divenire ricettacolo di in un racconto spudorato del sesso senza fronzoli, che è un po’ lo scheletro di tutta la narrazione. E così l’archetipo di una donna trentenne, single e indipendente si scontra con il prototipo della persona solitaria, stressata e sommersa di problemi tipico della nostra generazione. Un dramedy pensato al femminile, dove la tragedia diventa talvolta ironica grazie a quell’humor british che non sempre, però, fa ridere. La serie è infatti ambientata a Londra, ma a mio avviso profuma tanto di cinema francese. Disponibile su Amazon Prime Video.
• SANPA
Uscita letteralmente sul finire del 2020 su Netflix, questa docuserie tutta italiana, che è un vero e proprio documentario frazionato in più puntate, racconta tutta la storia della comunità di San Patrignano, un luogo dove la tossicodipendenza tende a divenire solo un ricordo. Una raccolta di racconti dei protagonisti diretti e indiretti delle vicende tormentate che hanno avvolto la comunità fondata da Vincenzo Muccioli, trastullata tra ascesa e decadenza, tra luci e tenebre, tra tante certezze e troppi dubbi, tra verità screditate e menzogne scardinate. Interessante dal punto di vista informativo, approfondendo un argomento scottante come la droga, è un mix a mio avviso non proprio amalgamato di interviste attuali e di tanto, tantissimo materiale d’archivio che non sempre riesce a tenere desta l’attenzione. In tanti hanno urlato al capolavoro, sia in termini di sceneggiatura, sia in termini di montaggio, dato che il montatore è uno di quelli di Black Mirror, ma io non sono d’accordo in quanto l’ho trovata un po’ tediosa e assemblata in maniera non proprio eccelsa. E poi sdogana la presunzione che la verità viene sempre a galla: ecco, in Sanpa la verità non è dato saperla. La sua stessa regista, Cosima Spender, afferma infatti di aver raccontato la storia nella maniera più obiettiva e più imparziale possibile: ed in questo c’è riuscita benissimo.