Bari mi ha accolta così: con un ragazzino dall’aspetto grottesco e dal tono minaccioso che mi domandava imperterrito perché mi fossi azzardata a scattare una foto alle cozze in mostra fuori dalla pescheria di un suo amico. Ho risposto “Perché sono belle!”. Le cozze? Sono belle? È un ossimoro. Forse un paradosso. Non mi ha creduta. Mi ha inseguita, continuandomi a domandare perché avessi fotografato le cozze, intimandomi di cancellare la foto.
Stavo andando a visitare un papabile appartamento da affittare nel quartiere Libertà. Che è come dire Tor Bella Monaca a Roma, i quartieri spagnoli a Napoli, il quartiere zen a Palermo. Ma qui siamo nel cuore del pieno centro e io di questa presunta pericolosità non ne ero al corrente.
La casa era ampia e luminosa, decentemente nuova, ma la scartai a priori vuoi per il prezzo, vuoi per la brutta fama della zona, vuoi per quel ragazzino che mi ha importunata imperterrito.
Per fortuna ne trovai una migliore, completamente nuova, economicamente più vantaggiosa e in un quartiere centrale e popolare decisamente più affabile.
Bari è un po’ così: è fatta di calore e di contrasti, di confidenza e di indifferenza, di suono del mare e di rumori caotici, di dialetto serrato e di un modo di parlare un po’ scurrile anche in italiano. Bari è panni svolazzanti stesi al sole, orecchiette fatte a mano e stese al sole pure; vicoli stretti e maldestri, facciate bianche e pure, pietra locale inondata di luce. Bari è squadre di pulizia dei condomini su biciclette cariche di secchi, scope, detersivi, i traslochi fatti su di un Ape Piaggio decadente. Bari è una sfilza di scarafaggi dalle dimensioni esorbitanti che capeggiano le notti d’estate, è il profumo di salsedine a due passi da casa. Bari è un lungomare che sembra non conoscere fine, è il Teatro Petruzzelli che si staglia su di un cielo terso, è il Teatro Margherita che echeggia sulle increspature saline, è il Teatro Piccinni inaugurato dopo un estenuante restauro. Bari è via Sparano pervasa dal traffico umano, è palazzoni eleganti di importanza storica, è la malleabilità di Palazzo Mincuzzi, la plasticità di Palazzo Fizzarotti. Bari è la vastità di Piazza del Ferrarese, è Bari vecchia con le sue strade intricate, le edicole sacre e colorate, la Cattedrale che si avviluppa in altezza, la maestosa Basilica di San Nicola che si sviluppa in larghezza, il castello imponente. Bari è vita di quartiere, è botteghe storiche e negozietti di zona; è focaccia calda a merenda a qualsiasi ora; è il panzerotto bollente divorato a Largo Albicocca; è una Peroni ghiacciata a El Chiringuito al modico costo di 1€; è cozze con la mortadella, sgagliozze, popizze, cartellate; è la fila immensa per accomodarsi a mangiare una sfilza di antipasti, di pizza e di Peroni a Il Rustico all’incredibile prezzo di 10€. Bari è Pane e Pomodoro e no, non quello che si mangia a merenda, ma la spiaggia più famosa della città. Bari è lo stadio di San Nicola e la Bari che ci gioca sempre. Bari è un ponte, anzi due, avveniristici rispetto al resto della città. Bari è una chiesa ortodossa che con un’occhiata ti fa catapultare in Russia, o forse in Ucraina. Bari è locali alla moda con un design emergente che incalza. Bari è un sushi bar impossessatosi di uno spazio dal savoir-faire art nuoveau firmato Paolo Portoghesi. Bari è un parcheggio introvabile. Bari è un murales di street art firmato Maupal, raffigurante un San Nicola che si forgia nella tonificante posizione yoga del cane a testa in sù (urdhvamukha shvanasana), aprendo il cuore al mondo. Bari è la festività di San Nicola che si festeggia non una, ma ben due volte l’anno, perchè l’abbondanza è qui di casa. Bari è un aeroporto (forse l’unico al mondo) raggiungibile dal centro con un biglietto di solo 1 € tramite un autobus del trasporto pubblico locale. Bari è gente in piazza che le sere d’estate banchetta a cielo aperto, portandosi sedie, tavoli, borse frigo, panini, teglie, bevande da casa, per impadronirsi dei luoghi pubblici e dei luoghi comuni pure. Bari è una signora all’apparenza per bene che mi ha redarguita perché sotto la pioggia camminavo con l’ombrello troppo basso. Bari è una sartoria gentile che mi ha ricucito al volo il Woolrich strappato poco prima di prendere un volo per Riga. Bari è il gestore di un supermercato gourmet che, sol perché curiosavo tra gli scaffali, leggendo accuratamente le etichette dei prodotti (come faccio al mio solito), mi ha infamata accusandomi di aver rubato qualcosa senza prova alcuna e, dopo avermi perquisito la borsa, si è scusato con le lacrime agli occhi. Bari è quel supermercato gourmet che ha perso una cliente per diffamazione.
Bari è sospetta, sospettosa, incivile, azzardata, simpatica. Bari è grezza, greve, provinciale, pettegola, solare. Bari è diffidente all’inizio, curiosa alla fine. Bari è coraggio ed esasperazione. Bari è la Puglia dei cliché. Bari è un po’ come essere a casa perché tanto sono in Puglia. Bari è dove non avrei mai pensato di vivere, eppure è capitato, un po’ per gioco, perché le cose non vanno mai come credi.
Bari è un po’ così: è problematica, ma sa farsi piacere.