Vorrei poter dire che gli anni trascorsi in quel di Roma sono stati 10, quel mitico numero 10 che ben rappresenta la romanità, e i romanisti pure, ma gli anni trascorsi in quel di Roma sono stati ben 11.
11 anni di meraviglia. Di scoperta. Di stupore, giorno dopo giorno. Di sopportazione, e di mal sopportazione di quei (bellissimi) difetti, di quel degrado, di quella serie di malfunzionamenti di gestione della città che ad un certo punto divennero insopportabili.
Eppure mi manca. Eccome se mi manca. Roma: la mia città prediletta, quella dove ho sempre immaginato di vivere e dove poi a vivere ci sono finita per davvero. Quella dove pare così semplice voltare pagina, eppure è risultato così difficile voltare pagina quando ho scelto di fuggire via. Di darmela a gambe levate. Di scappare: dall’aria satura di smog, da quella patina di inciviltà, dai cassonetti troppo pieni, dal nervosismo della gente sempre più esasperata, dallo stress perenne, dal traffico che mai sopisce, dai tempi di percorrenza estenuanti, dal lavoro precario senza prospettive di crescita.
Eppure mi manca.
Mi manca la genuinità della gente, la voglia di inclusività, la poca apparenza e la tanta sostanza, il parlare senza remore alcune, l’ampia possibilità di scelta. La brama di cultura. L’estrema ilarità. La sfacciataggine. L’ampiezza di vedute. Mi manca quell’ accento così piacione. Le parole tranciate. La pizza bianca. Quel cielo di un azzurro accecante. Il gelato, quello buono. Il gelato di Neve di latte. La grande bellezza. La passerella sul mondo. La passerella sulle rovine romane. Mi manca il caffè di Sant’ Eustachio. Il maritozzo strabordante di panna di Regoli. La carbonara di Roscioli. Quel vagare senza meta tra i vicoli del centro. La vita di quartiere. Il tiramisù di Pompi. Le passeggiate nel verde di Villa borghese. Il Ponte della Musica percorso la mattina presto. Il Colosseo di notte. Le corse per prendere l’ultima corsa della metro di notte. L’acustica niente male dell’Auditorium Parco della Musica. Mi mancano i concerti last minute, magari all’Olimpico. I viaggi last minute, perchè tanto l’aeroporto ce l’hai a “du’ passi” da casa. Il fresco scrosciare dell’acqua sulla parete di travertino dell’Ara Pacis. Il flusso solerte del fiume Tevere. Gli eventi proficui presso la Feltrinelli su via Appia Nuova. Le inaugurazioni a cui si veniva invitati per caso. Le mostre della domenica. Le contemplazioni nella Centrale Montemartini. Le pause pranzo vista MAXXI. Gli aperitivi a buffet con amici improbabili. Le birre all’ Hopificio con gli amici più cari. Le figure di merda ad appuntamenti importanti dovute ai ritardi degli autobus. Le lunghe, e talvolta vane, attese ad una fermata Atac. Mi manca quel modo di pronunciare le doppie che mi faceva accapponare la pelle. Il profilo del Gasometro che si insinua ovunque. La spesa da Eataly. Il dopo lavoro sulla piazzetta a Monti. La panda verde della mia amica salentina che ci conduceva ovunque. La terrazza di Marianna sempre pronta ad accoglierci. Il modo di essere espansiva della gente. Il chiacchiericcio a casaccio con gente a casaccio. La confidenza. La combriccola dei miei colleghi più cari dell’università. Le coinquiline che vanno e quelle che restano. La magnificenza emozionale dei cortili romani. La nobiltà d’animo. Open House a Roma. Il cibo cinese d’asporto. La pizza sublime delivery di Frumento. I colloqui improbabili. L’affitto sempre più esoso. L’uscire senza remore. Le macchine in tripla fila. La trama dei tram. Quello spirito di solidarietà. Quello stato di commiserazione. I baristi quasi sempre scorbutici. Il caffè in vetro. Le bestemmie pensate ma mai pronunciate percorrendo le strade sconnesse con la mia valigia a 4 ruote che mi accompagnava nel mio andare e venire da casa. Il profumo epocale della primavera romana. I fiori rosa che aleggiano sul laghetto dell’ Eur nel mese di aprile. Er cupolone illuminato nella notte che avanza. Il tempo che avanza senza annoiarsi mai. La stanchezza estenuante a fine giornata. Le lunghe passeggiate disorientanti. Quel senso di scoperta ad ogni passo. Quell’incedere poliglotta. La moltitudine. L’abbondanza. I gradini di Trastevere. Il cinema all’aperto. L’asfalto che d’estate si fonde sotto i piedi. Le notti in bianco. Le notti brave. La facoltà di architettura, si, mi manca anche quella, con tutti i suoi difetti. Quella voglia di coinvolgere e di farsi coinvolgere della gente. Quella ambizione di farsi travolgere dalla farraginosità. Le case sfatte. Le persone fatte. Gli scatti di ira improvvisi della gente più insospettabile. Quel sentirsi al centro del mondo. La cacio e pepe fatta come Dio comanda. La magia delle luci di Natale. Spelacchio. Le vasche a via del Corso a sperperare denaro. Quel fare comunità a San Lorenzo. I calici di vino mediocre nel cuore del Pigneto, nel cuore della notte. I margini emarginati dei bordi di periferia. La cultura che condisce ogni dialogo. L’aspetto bohemien di via Margutta. Gli squarci di panorami improvvisi. Le scampagnate improvvise. Il sabato al parco. Le gite al lago. L’arte spalmata ovunque. Le ambizioni senza tregua. I sogni dipanati. La realtà a tratti diafana. La voglia di partire, di andarsene via. Il desiderio di tornare.
Nessun rimpianto, nessun rimorso. Perchè il coraggio è di chi resta, al sud s’intende.
Roma: cosa mi manchi a fare?
Bellissimo Ale 😢❤️
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Tanta nostalgia ❤️
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