Vedi Napoli e poi muori.
E poi muori perché ti sparano, perché ti derubano e ti minacciano, perché ti viene un infarto quando un motorino con a bordo almeno tre persone, rigorosamente senza casco, ti sfreccia accanto. Perché ti investono ignorando un semaforo rosso che per i nativi del posto è un mero arredo urbano.
Si, forse intendono questo asserendo quella frase.
Perchè appena si sbarca in quella giungla urbana, ogni luogo comune viene confermato. Già sul treno direzione Napoli si percepisce un’aurea di illegalità. Ma forse anche questo fa parte della bellezza di questa città: il proibito consentito, il grottesco.
A Napoli, però, si può anche morire di bellezza e di felicità. Perché quel sole millanta un lucente e brillante calore, posandosi quieto sulle acque salmastre di un rarefatto orizzonte e sui dolci pendii del Vesuvio che imponente sopisce. Perché il mare luccica e tira forte il vento. Perché le strade profumano di tradizione. Perché cammini per quelle viuzze e odi il caldo rumore delle posate metalliche sbaragliare dentro piatti di ceramiche colmi di pasta e patate, pasta e fagioli, pasta e ceci, nelle case di famiglie rumorose, numerose, unite.
Perché le pizza è troppo buona. Perchè la pizza fritta lo è ancora di più. Perché hai mangiato troppa pizza. Perchè la mozzarella di bufala è sempre al top. Perchè il caffè è fatto a regola d’arte. Perchè la croccantezza di una sfogliatella calda e fragrante appena sfornata o la bollente friabilità di un morso di frolla o la succulenta ed ineguagliabile sofficezza di un babà ti elevano ad un paradiso terrestre appena prima sconosciuto.
Così, a partire dalla stazione che tende sempre più ad un design d’avanguardia, transitando in metro nelle spettacolari fermate dell’arte, per poi passeggiare e fare shopping in via Toledo e nella galleria Umberto I, sino a raggiungere sua maestà piazza del Plebiscito con il suo gigante palazzo reale dall’ampio colonnato neoclassico, si arriva dolcemente sul lungomare, dove la vista è mozzafiato e l’andamento si accorda al dondolio dell’acqua marina, dove il paesaggio naturale viene brevemente interrotto dalla sobrietà dell’antica costruzione di Castel dell’Ovo.
È d’obbligo un’elevata passeggiata al Vomero, un tour nella Napoli Sotterranea e nella Galleria Borbonica, una visita al museo di Capodimonte e alla Cappella di Sansevero con la statua del Cristo velato, una sbirciatina al Maschio Angioino.
E poi si deve assolutamente varcare la soglia del popolare quartiere Spaccanapoli, per visitare il Duomo e ammirare parte dello splendido tesoro di San Gennaro; per conoscere la vera e tipica Napoli, tra panni stesi e svolazzanti al vento su fili tesi, tra fascinose corti accroccate e vicoli stretti e chiassosi.
Ci si può spingere oltre azzardando addirittura una passeggiata nei veraci quartieri spagnoli, per una tappa obbligata nell’ancora più verace cucina di Nennella.
Perché se arduo sarà scegliere se prediligere la storica pizza di Michele o la bivalente pizza di Sorbillo, la trattoria da Nennella accorda tutti. E poi il caffè si prende rigorosamente da Gambrinus, il babà da Scaturchio, le frolle e le ricce ustionanti da Attanasio, i fritti da asporto da Di Matteo.
Passeggiando allegramente tra illegalità e tradizione, tra stupore e meraviglia, in un altalenante ibrido brivido di terrore e di piacere, che pervade questa città fatta di contrasti, l’idillio di un boccone della vera pizza prevarica ogni vano tentativo di furto.